Maurizio Panizza: «Diario familiare» – Di Daniela Larentis
È la storia di un uomo dell’Ottocento, della sua famiglia e della sua comunità, ambientata in Valsugana ai tempi dell’allora Impero austro-ungarico – L’intervista
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Il ritrovamento di una sorta di diario «lungo 35 anni» in una vecchia cantina dà il via a una lunga ricerca da cui è nato uno splendido libro, scritto da un redattore della nostra testata, Maurizio Panizza.
Il volume intitolato «Diario familiare» (Edizioni Curcu Genovese, 2018), ambientato in un minuscolo paesino della Valsugana, Roncogno, situato nell’allora Impero austro-ungarico, narra le vicissitudini di una famiglia e di una comunità, ricostruite dall’autore partendo dalle annotazioni di Luigi Sartori.
Fu proprio quest’ultimo a documentare per lunghi anni le vicende familiari, appuntando il resoconto del giorno trascorso sugli Almanacchi, notizie sintetiche e frammentate, a volte gioiose o tristi, non immaginando certo che, a distanza di 135 anni, in un futuro lontano qualcuno le avrebbe recuperate, trasformandole in una meravigliosa storia.
«Notizie che – racconta Maurizio Panizza – attraversano un’epoca e che assistono attonite a un mondo che cambia e che non tornerà mai più.»
Copertina del libro di Maurizio Panizza.
Chissà cosa avrebbe pensato Luigi Sartori dell’epoca in cui viviamo ora, di una società caratterizzata dallo scorrere veloce di una serie infinita di sollecitazioni, dell’era della globalizzazione dove in fondo siamo tutti membri di un’unica comunità di destino.
«Diario familiare» è un libro che invita a una profonda riflessione su quello che siamo e su ciò che eravamo, un libro che narra di fatti accaduti e di sentimenti vissuti.
L’uomo, per natura, non può prescindere dalla dimensione plurale, questo è un libro che parla non solo di Luigi Sartori ma anche della comunità in cui vive.
Ad impreziosire la pubblicazione una serie di fotografie della Prima Guerra mondiale, rinvenute contestualmente al ritrovamento degli Almanacchi.
Due parole su Maurizio Panizza prima di passare all’intervista.
Giornalista dagli inizi degli anni Novanta, ha prestato servizio per molti anni al quotidiano Alto Adige (l’attuale Trentino), mentre in seguito è stato direttore responsabile di alcune testate fra cui Nuove Idee e Linkè.
Oltre all’attività giornalistica, in anni più recenti si è occupato anche di sindacato, scuola e politica e attualmente è docente presso l’Università della terza età e del tempo disponibile.
Il primo almanacco agrario.
Da tempo scrive sul mensile Trentino Mese ed è redattore del giornale online l’Adigetto.it, titolare della rubrica «Da una foto una storia»; inoltre, interviene spesso sulle pagine del quotidiano l’Adige con contributi di attualità o di costume.
Avvicinandosi alla Storia del Trentino, da qualche anno si è specializzato nell’indagare avvenimenti e personaggi del passato portando alla luce vicende sconosciute poi riproposte in tv in collaborazione con Rai 3.
Sempre per lo stesso filone d’indagine, si è recentemente dedicato alla documentaristica storica producendo con il regista Federico Maraner un cortometraggio dal titolo «Come uccelli d’argento» che racconta del primo e più tragico bombardamento su Rovereto della Seconda Guerra Mondiale, dando voce agli ultimi sopravvissuti e svelando retroscena finora inediti.
Fra le diverse pubblicazioni al suo attivo, ricordiamo: «Eroe plebeo», Edizioni Stella (2003); «Missione compiuta», Edizioni Osiride (2009); «Antiche strade», Edizioni Osiride (2011).
Abbiamo avuto il piacere di porgergli alcune domande.
«Diario familiare» è la storia di un cittadino dell’allora Impero austro-ungarico, Luigi Sartori, da lei riportata alla luce in base al ritrovamento di una sorta di diario. Come e quando nasce l’idea di questo volume?
«Nel marzo del 2018 mi telefonò l’editore Paolo Curcu per chiedermi se ero disponibile a dare un’occhiata a un progetto editoriale che da qualche anno stentava a decollare.
«Si riferiva ad un fondo consistente in 35 anni di diari scritti a cavallo fra ’800 e ’900, che peraltro erano già stati oggetto di valutazione negativa da parte di altri autori e di altre case editrici.
«In altre parole non si riusciva a trovare la giusta formula per declinare, diciamo così, le annotazioni dei diari attraverso una narrazione e un filo logico degno di un’opera da pubblicare.»
Luigi Sartori.
Chi era innanzitutto Luigi Sartori?
«Luigi Sartori all’anagrafe era un possidente, quindi un proprietario di campi e di case, ma pure commerciante di vino e di altri prodotti. Un benestante, diremmo oggi.»
Dove viveva, quali erano i luoghi in cui trascorse la sua esistenza?
«Era nato a Ischia di Pergine nel 1858, ma nel 1911 si trasferì con la famiglia a Roncogno, un paesino poco distante dove lo zio Luigi Zeni gli aveva lasciato in eredità la Trattoria Alla Stella.
«Da lì in avanti ai suoi lavori di contadino e di commerciante, aggiungerà pure l’attività, come si direbbe oggi, di ristoratore, quella che sarà la sua fortuna qualche anno dopo in tempo di guerra.»
Lungo quale arco temporale si sviluppa il racconto?
«Come già detto, i diari di Luigi Sartori si collocano a cavallo dei due secoli scorsi, più precisamente iniziano nel 1883 e si concludono nel 1918 con la fine della Grande Guerra. Il mio racconto segue temi e tempi analoghi.»
Le prime annotazioni erano indicate negli spazi bianchi contenuti negli Almanacchi agrari: da chi erano pubblicati, qual era la loro funzione e che notizie contenevano?
«L’Almanacco Agrario era edito ogni anno prima di Natale dalla Sezione di Trento del Consiglio Provinciale d’Agricoltura per il Tirolo collegata pure all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige.
«Era un librone corposo di 500-600 pagine che conteneva al suo interno rubriche di vario genere, come ad esempio le fasi lunari, le date delle fiere della provincia, le tariffe postali e doganali, informazioni varie sulla viticultura, l’allevamento, la bachicultura. Insomma, un manuale per il buon contadino che oltre a tutti questi preziosi consigli, dava la possibilità di annotare giornalmente, su apposite pagine bianche, le notizie del tempo e del raccolto e qualsiasi altra cosa degna di nota.»
Da un punto di vista metodologico come ha condotto la ricerca?
«Sinceramente non è stato semplice individuare la formula giusta per poter rendere fruibile ai lettori un patrimonio di notizie sparse nell’arco di 35 anni.
«Il problema, perché di questo si è trattato, nasceva dal fatto che le note del Sartori erano talmente sintetiche da apparire talvolta difficilmente utilizzabili.
«Per fare tre esempi, il 13 febbraio del 1886 Luigi scriveva: “Ogi è stato il giorno del mio matrimonio”. L’11 gennaio del 1894, invece, annotava: “Ogi l’inaugurazione della prima pietra della ferrovia a Trento”.
«Il 30 giugno dello stesso anno: “A Trento arivo di S.M. Francesco Giuseppe”.
«È evidente che con così scarni riferimenti l’unica formula utilizzabile era quella dello sviluppo di quanto proposto dal Sartori. Per cui, nella versione narrativa il matrimonio di Luigi mi ha dato lo spunto per parlare di come era inteso il fidanzamento e il matrimonio ai tempi del nostro protagonista e pure di come poi si strutturava la famiglia con la nascita di innumerevoli figli che non sempre sopravvivevano.»
Maurizio Panizza.
«Stessa cosa per la ferrovia della Valsugana della quale ho raccontato le varie vicende, e pure per la visita dell’Imperatore a Trento di cui, attraverso la ricerca, ho scoperto il motivo. Alla fine ne è uscito un volume di spessore, con più di 25 storie, sempre suggerite, per così dire, dal Sartori. Si va, come già detto, dal tema della famiglia a quello del potere clericale; dall’epopea del baco da seta alla tremenda alluvione del 1882. E ancora, dal movimento cooperativo alla Belle Époque, senza tralasciare il periodo della guerra e i diari dei figli soldati di Luigi.»
Le vicende familiari da lei descritte si svolsero in un momento storico preciso: potrebbe, in maniera sintetica, condividere con noi qualche pensiero a riguardo, evidenziando il tipo di ambiente in cui viveva il Sartori?
«È da dire a questo proposito, che la Valsugana e l’attuale Trentino a quel tempo facevano parte della regione del Tirolo, a sua volta inserita nell’Impero Austro-ungarico.
«Se togliamo la breve parentesi della dominazione napoleonica, si può dire che da centinaia di anni, quindi ben prima dell’Impero, questi territori erano soggetti alla giurisdizione e all’influenza del mondo tedesco.
«Dunque, una minoranza di lingua italiana che per secoli aveva convissuto pacificamente con la popolazione di lingua tedesca. Una minoranza, tuttavia, tesa alla propria autonomia in seno alle varie realtà amministrative succedutesi nel corso del tempo e se vogliamo, un territorio di confine in cui si fondevano elementi di cultura e tradizione mitteleuropea con altri di provenienza italiana.
«Un popolo, aggiungo, che nel tempo narrato da Luigi Sartori era in stragrande maggioranza devoto al proprio sovrano e che politicamente condivideva con i propri rappresentanti lo sforzo per un’autonomia in parte acquisita e in parte ancora da ottenere.»
Come lei sottolinea nel volume, nel periodo in cui Luigi Sartori scrisse i suoi diari il processo di alfabetizzazione voluto da Maria Teresa d’Austria era già in atto da quasi un secolo, anche in Trentino le scuole erano accessibili a tutti i bambini, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza. In quegli anni, quali erano le differenze, a grandi linee, fra il sistema scolastico del Tirolo italiano e quello del Regno d’Italia?
«Come è risaputo, Maria Teresa - prima e unica donna della Monarchia Asburgica - è ricordata per la sua amministrazione illuminata, attraverso la quale fra altri provvedimenti introdusse nel 1774 l’istruzione obbligatoria per tutti i bambini dai 6 ai 12 anni, costituendo di fatto il primo sistema scolastico universale pubblico e gratuito.
«Dunque, nel momento in cui Luigi Sartori inizia a scrivere i suoi diari, l’impianto scolastico nell’Impero è ormai consolidato da più di un secolo, mentre nel Regno d’Italia l’analfabetismo è ancora una diffusa piaga sociale.»
Otto Kraliczek.
«Giusto per fare un esempio, si pensi che nel 1880 nel Tirolo italiano, l’attuale Trentino, gli analfabeti maschi erano solo il 12% quando la media del vicino Regno d’Italia si attestava attorno al 62%.
«Inoltre, qui l’ordinamento scolastico prevedeva 8 anni di insegnamento contro i 5 anni della prima legge italiana emanata nel 1904. Tale differenziazione con le altre regioni italiane - pochi lo sanno - verrà mantenuta anche dopo l’annessione del Trentino-Alto Adige all’Italia e arriverà addirittura sino al 1962, anno di istituzione della Scuola Media obbligatoria.»
Fra i temi da lei indagati c’è quello dell’emigrazione, quella di fine Ottocento che coinvolse nel Sud Tirolo intere famiglie se non interi paesi. Potrebbe delineare brevemente il fenomeno?
«Se le origini di ogni movimento migratorio sono pressoché sempre le stesse - cioè il miglioramento delle proprie condizioni di vita - risulta difficile fare un puntuale raffronto fra l’emigrazione Sud Tirolese di allora e quella del cosiddetto Sud del Mondo di oggi.
«L’emigrazione ai tempi di Luigi Sartori, è da dire, era organizzata e veniva favorita dai Paesi di origine e da quelli di destinazione. Le prospettive di lavoro erano concrete e tutti coloro che erano dotati di buona volontà potevano sperare di trovare un’occupazione nella nuova patria, indipendentemente dal fatto che fosse Brasile, Argentina, Uruguay o Stati Uniti.
«Anche allora, comunque, c’erano gli sfruttatori e i farabutti che lucravano sulla pelle degli emigranti e pure allora c’era il dramma di chi veniva respinto immediatamente o decideva in seguito di tornare indietro per non aver trovato sul posto quanto gli era stato promesso.»
Il desiderio di migliorare la propria posizione spinse anche i fratelli di Luigi Sartori a partire per il Sud America. In quali condizioni avvenivano quelle attraversate dell’Atlantico? È possibile o meno fare un parallelismo con ciò che sta avvenendo, a partire dagli anni Novanta del Novecento ad oggi, nella nostra società contemporanea? Detto in altre parole, potrebbero emergere dei punti in comune fra i due fenomeni migratori, a suo avviso, stando alle sue ricerche?
«Premesso che chi fugge da una guerra deve essere sempre accolto, se guardiamo ai flussi migratori all’epoca del nostro protagonista e fino agli anni Cinquanta del Novecento, ciò che oggi salta agli occhi rispetto al fenomeno di allora non sono tanto i numeri - ben maggiori a quel tempo - quanto piuttosto l’incapacità dei Governi attuali di quantificare il fabbisogno di lavoratori stranieri e di organizzare al meglio la loro accoglienza.
«Si sente molto spesso affermare che per il prossimo futuro l’Italia avrà necessariamente bisogno di molti lavoratori provenienti dall’estero stante il continuo calo demografico interno, ma nessuno finora, a quanto pare, ha mai stilato un documento che delinei un intervento significativo in tal senso.
«Riguardo poi alle condizioni di chi allora attraversava l’Atlantico, posso dire che la navigazione avveniva su grandi navi di linea. Tuttavia, per chi viaggiava in classe popolare i disagi erano tanti ed è anche da ricordare che non furono pochi i naufragi o i decessi a bordo per epidemie e malnutrizione. E proprio in merito a un grave naufragio, racconto nel libro una vicenda molto toccante.»
Una scialuppa con i naufraghi si allontana dal Mafalda.
Le foto pubblicate in appendice sono state scattate negli anni 1916, 1917 e 1918. Che cosa testimoniano e da chi furono scattate?
«Anni fa, assieme ai diari di Luigi Sartori sono state trovate alcune casse con più di 400 lastre fotografiche. La scoperta di questo prezioso deposito e la sua custodia è stata possibile grazie al nipote di Sartori, Maurizio, maestro pizzaiolo proprietario della Cocceria Alla Stella a Roncogno, sita nei locali di quella stessa trattoria che fu del nonno.
«Le foto che riprendono molte scene familiari e di guerra furono scattate dal sergente maggiore dell’esercito austro-ungarico Otto Kralizcek, presente in Valsugana negli anni della Prima Guerra Mondiale in qualità di esperto di fortificazioni.
«Come altri ufficiali e sottufficiali, il sergente fu ospite per lunghi periodi nella trattoria di Luigi Sartori, diventandone pure amico. Se non che, al momento della caduta dell’Impero e in seguito dell’avanzata dell’esercito italiano in Valsugana, Otto Kralizcek abbandonò presso la trattoria tutto il suo archivio fotografico, parte del quale oggi è appunto possibile ammirare in appendice al mio libro.»
Lei che conta al suo attivo numerose collaborazioni con Rai 3 e con altre Tv, recentemente si è dedicato alla documentaristica storica producendo con il regista Federico Maraner un cortometraggio relativo al bombardamento su Rovereto, durante la Seconda Guerra Mondiale. Potrebbe raccontarci qualcosa a riguardo?
«Tengo innanzitutto a precisare che non sono uno storico, ma per formazione un giornalista che racconta di storia.
«È vero, da alcuni anni mi sono specializzato nell’indagare personaggi e avvenimenti del passato portando alla luce vicende sconosciute. Anche il bombardamento sul quartiere di S. Ilario, il primo e più grave su Rovereto del secondo conflitto, era fino allo scorso anno un fatto misconosciuto e misterioso.
«Dopo un lungo lavoro di ricerca, rintracciando alcuni superstiti e scavando negli archivi americani ho potuto ricostruire la dinamica dei fatti chiudendo definitivamente il cerchio di quella triste vicenda, dopo ben 74 anni.
«Poi grazie all’amico Maraner abbiamo messo tutto in video, (vedi).
A cosa sta lavorando attualmente?
«Beh, continuo nelle mie indagini, ma sto anche progettando, sempre con Federico Maraner, un altro documentario molto più ambizioso del precedente.
«Se lei mi chiede, però, di cosa si tratta, non posso risponderle, trovandoci ancora in quella fase organizzativa che richiede il necessario riserbo.»
Sogni nel cassetto?
«Non è un sogno, a dire la verità, ma semmai la sua conclusione. Da tre anni ho materialmente nel cassetto il manoscritto di un romanzo già concluso.
«È ancora lì semplicemente perché ho avuto la sciagurata idea di mandarlo a un’importante casa editrice italiana, la quale mi ha suggerito di apportare qualche modifica.
«Bene, sembrerà paradossale, ma da allora quel cassetto non l’ho più aperto. Conto, però, di riprendere in mano la bozza del romanzo non appena troverò il tempo. Quando? Ora sinceramente non so dirlo.»
Daniela Larentis - [email protected]