«Gli incontri del giovedì»: 15 dicembre 2016 – Di Daniela Larentis

«Il fiume, le terre, l’immaginario; lotte giurisdizionali intorno agli argini del fiume Adige nella Piana Rotaliana» con Vito Rovigo e Marcello Bonazza a Mezzolombardo

Vito Rovigo.
 
Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato «Gli incontri del giovedì», organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, prosegue con l’appuntamento fissato il prossimo 15 dicembre 2016.
L’incontro si terrà come sempre alle 20.30 presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17, e avrà come protagonisti due storici, Vito Rovigo e Marcello Bonazza.
I temi che verranno affrontati sono indagati in maniera esaustiva nella pubblicazione intitolata «Il fiume, le terre, l’immaginario; lotte giurisdizionali intorno agli argini del fiume Adige nella Piana Rotaliana», edita da Osiride, Rovereto.
Prima di passare all’intervista, ci preme dare qualche informazione sui due relatori della conferenza.
 

Codice Enipontano III, (Codex Oenipontanus), 1615, Matita e tempera su carta, 40 x 30 cm. (volume aperto), Innsbruck, Tiroler Landesarchiv.
 
Vito Rovigo (foto di copertina), medievista, dottore di ricerca in «Storia della Società Europea», si è formato presso le Università di Trento e Verona.
Dal 2014 al 2016 è stato docente a contratto in Didattica della Storia Medievale e Moderna presso i Percorsi Abilitanti Speciali e i Tirocini Formativi Attivi dell’Università degli Studi di Trento.
Archivista diplomato, ha collaborato con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali presso l’Archivio di Stato di Trento, oltre che con la Soprintendenza per i Beni Librari e Archivistici della Provincia Autonoma di Trento.
Docente di «Materie Letterarie e Latino» presso le istituzioni scolastiche liceali, è al momento in ruolo nella Scuola Secondaria di Primo Grado.
Tra i suoi campi di interesse la storia della minoranza ebraica nel basso medioevo italiano, l’infragiustizia, la storia sociale e insediativa delle comunità alpine (con particolare riferimento alla vassallità minore e ai legami di dipendenza non liberi), la storiografia medievistica trentina prima della Grande Guerra.
È membro del Consiglio Accademico dell’Accademia Roveretana degli Agiati e socio della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche.
 

G. Stefenelli, Carta Topografica de’ due consorzi della destra e della sinistra sponda del torrente Fersina […], 1850, pubblicata dalla Delegazione Fersinale, 27x52 cm, scala 1:20750 ca, BCTn, TG 1 d 10 A/2/e/7.
 
Marcello Bonazza (foto), dottore di ricerca in «Storia della Società Europea», si è formato presso le Università di Trento e Napoli.
Storico dello stato moderno tra XVI e XIX secolo, ha dedicato particolari attenzioni alla fiscalità, alle forme dello stato per ceti e della costituzione imperiale di antico regime, al funzionariato e al notabilato tra Settecento e Ottocento, alla storia del territorio trentino e tirolese nell’età moderna.
Ha all’attivo alcune monografie, pubblicazioni di fonti e numerosissimi saggi.
È docente di «Materie Letterarie e Latino» presso il Liceo Classico «G. Prati» di Trento. Da archivista diplomato, ha riordinato quattro archivi storici (tra i quali quello della famiglia Rosmini di Rovereto, dell’Accademia Roveretana degli Agiati e, recentemente, l’Archivio Thun di Castel Thun).
Membro del Consiglio Accademico dell’Accademia Roveretana degli Agiati, è presidente della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche dal 2010.
Abbiamo avuto il privilegio di porgere a Vito Rovigo alcune domande.
 

Il paleomeandro di Taio (Nomi) visto da Castel Barco. Il meandro dell'Adige, che arrivava a lambire Castel Pietra, è ancora ben riconoscibile malgrado la rettifica e le bonifiche agrarie.
 
Come è nata l’idea di questo interessantissimo libro?
«Prima di trasformarsi in un volume di atti, questa idea si è sviluppata sottoforma di Convegno di Studi: l’obiettivo era quello di invitare degli specialisti di varie aree ed epoche storiche a confrontarsi su un tema specifico: come il fiume Adige è stato percepito ed ha influito sull’identità dei territori da esso attraversati.
«Lo stimolo iniziale era duplice: da un lato quello di riportare l’attenzione su un elemento che, a seguito delle irreggimentazioni ottocentesche e dello sviluppo tecnico e tecnologico, ha visto marginalizzarsi, e divenire quasi esclusivamente negativo se si pensa a episodi nefasti della recente storia contemporanea, il proprio ruolo in una terra sulla quale tanto aveva influito precedentemente; dall’altro quello di scoprire se nel divenire storico l’Adige abbia modificato, cesellato, le società che vivevano a stretto contatto con le sue acque e che da esse traevano sostentamento, creando una sorta di diffusa società fluviale.
«L’indagine storica muove sempre da domande iniziali (che talvolta restano senza risposta) e quella che mi sono proposto all’inizio di questa avventura era quella di verificare se l’Adige avesse dato vita ad un fenomeno simile a quello delle cosiddette aree di strada proposto una trentina di anni fa da Giuseppe Sergi: non dobbiamo infatti dimenticare che in età medievale e nelle società di ancien régime i fiumi erano una vera e propria arteria commerciale e, quindi, di incontro di culture e civiltà, ma potenzialmente anche di scontro per i vantaggi economici e l’importanza strategica che, inevitabilmente, rivestivano.
«Il binomio incontro/scontro non si arrestò all’analisi degli avvenimenti storici legati al fiume, ma talvolta, come nel caso del Reno, permeò e vide contrapporsi anche la storiografia che lo indagava, come mise in luce Lucien Febvre nel suo magistrale volume Il Reno. Storie, miti, realtà del 1935.
«Il Consiglio Accademico dell’Accademia Roveretana degli Agiati, presieduto dal prof. Fabrizio Rasera, ha immediatamente manifestato grande interesse per questa proposta, facilitando il compito organizzativo e sostenendo gli oneri del convegno internazionale e della pubblicazione.»
 

Tracce di paleoalvei dell'Adige (PC01 e PC02) presso Nave San Rocco, riconoscibili in fotografia aerea e grazie a variazioni altimetriche di scarsa entità, qui enfatizzate mediante la tecnica del Constrained Colour Shading (da Colecchia & Forlin 2013, fig. 3).
 
Innanzitutto una premessa: la storia e la sociologia possono avere lo stesso oggetto di studio, possono analizzare un identico fenomeno sociale, ma il metodo di analisi utilizzato è differente.
Ci potrebbe chiarire questo punto e delineare l’importanza dal punto di vista metodologico dello studio polivalente da lei condotto, quali sono gli strumenti da lei utilizzati nell’analisi storica del fiume Adige?
«Dalla diffusione delle idee e delle metodologie proposte dalla scuola delle Annales fare storia è soprattutto applicare metodi e strumenti di analisi diversificati e vari: già Marc Bloch nel suo Apologia della storia, sosteneva la necessità del lavoro d’équipe al fine di poter indagare approfonditamente la realtà del passato perché i fatti umani sono, fra tutti, complessi e l’uomo si colloca alla punta estrema della natura; dunque per fare luce sul passato è inevitabile ricorrere a tipologie di testimonianze molto diverse e procedere ad una critica delle fonti: persino il documento lasciato da un testimone oculare andrà scandagliato a fondo e confrontato con altre testimonianze e altre tipologie documentarie e di fonti, perché qualsiasi individuo coglie solo una parte, spesso quella più vicina al proprio sentire e alle proprie idee (che non è detto rimangano tali per tutta la vita, con la conseguente modifica dell’interpretazione data ad un determinato evento).
«In questo senso, anche la più recente sociologia diviene, agli occhi dello storico, una disciplina ausiliaria, fornisce dati che egli dovrà considerare, ma che dovranno altresì essere confrontati con molteplici fonti provenienti da altri contesti.
«Nel tentativo, diacronico e tematico, di dare vita al fiume e di voler ridefinire il ruolo che ha assunto per i territori da esso solcati è stato necessario ampliare il più possibile – ma molti aspetti dovrebbero ancora essere indagati – il campo di indagine e di suddividerlo in temi che spaziano dalla descrizione dell’Adige, al quesito se l’Adige abbia mai ricoperto il ruolo di confine (politico, culturale, identitario), dal fiume come fattore di promozione sociale, a quello come vettore economico e di promozione culturale.
«La cifra innovativa di questa pubblicazione sta, a mio avviso, nell’aver tentato di leggere l’Adige come un protagonista attivo della storia degli uomini scardinando un’impostazione prettamente cronologica e superando, al contempo, una lettura incentrata sull’esclusiva funzione di risorsa economica: per fare alcuni esempi, nella sezione intitolata Descrivere l’Adige è possibile trovare un saggio che propone una ricostruzione geoarcheologica del paleoalveo del fiume, ma anche un saggio di cartografia storica che presenta il fiume attraverso le carte geografiche storiche, ma che affronta, con un taglio geografico, anche la questione della difficile gestione di alcuni importanti affluenti dell’Adige in area trentina, così come, infine, uno studio puntuale sulla rappresentazione e sulla percezione del fiume nella letteratura e nella storiografia antiche. Nella sezione dedicata alla questione se l’Adige abbia mai ricoperto la funzione di confine, la tematica è affrontata come un quesito aperto ed ha visto cimentarsi nella sua trattazione antichisti, medievisti, modernisti e contemporaneisti, ciascuno dei quali ha scelto un approccio differente per rispondere a questo problema.
«E così anche per le sezioni dedicate all’Adige come fattore di promozione sociale, di promozione e sviluppo economico (legale e illegale, fluviale ma anche arginale) e di promozione culturale, dove, al fianco di saggi dedicati al confronto tra gli artisti e i letterati ed il fiume, campeggia un lavoro dedicato alla cultura scientifica settecentesca e al dibattito innescato dalla necessità di difendersi dalle esondazioni».
 

Pompeo Marchesi (1783 –1858), Personificazione fiume Adige, altorilievo in pietra, 1813 ca., Milano, Arco della Pace.
 
Si sente in sintonia con il pensiero di Tocqueville, il quale considerava l’analisi storica inseparabile dall’analisi sociale?
«Certamente, nel senso che lo storico deve afferrare il vivente, come direbbe ancora Bloch, nel tentativo di comprendere e restituire il fremito della vita umana, come scienza degli uomini nel tempo e nello spazio.
«La vita associata produce organizzazioni che sono specchio della complessità umana: la storia, cercando e ripercorrendo le tracce, tenta di restituire un quadro d’insieme intersecando vari piani proprio con la finalità di avvicinarsi il più possibile alla comprensione del passato, con la consapevolezza che gli uomini plasmano la società, ma che ne sono a loro volta segnati e che orientano i propri comportamenti alle credenze e alle regole che si sono dati e che ritengono opportuni e giusti. Per questo, ad esempio, l’antropologia culturale è oggi uno dei pilastri fondamentali per comprendere gli orientamenti delle società antiche.
«Come si è tentato di rendere questi alti propositi nel nostro modesto volume? Cercando proprio di cogliere il legame tra il fiume e l’uomo e tra l’uomo e il fiume: l’uomo che interpreta l’Adige e lo investe di aspettative e progetti, ma anche l’elemento naturale che detta le regole di coesistenza, che determina confini, che costituisce un ostacolo o un pericolo da saper gestire.
«Così, ad esempio, lo sfruttamento della risorsa fiume è letto in prospettiva diacronica dal ricco saggio di Andrea Bonoldi, ma l’economia legale, come ben sappiamo, non è l’unica forma di economia esistente: ne esiste, parallelamente, anche una illegale, allergica alle regole daziarie ma che fa parte della società, che tenta di aggirare le restrizioni imposte e di cui si è cercato di rendere conto».
 

Visione di San Michele e Grumo a inizio Novecento.
 
Il fiume rappresenta una buona finestra per osservare le società e le loro molteplici trasformazioni. Che cosa ci può raccontare a riguardo?
«Le risponderò con un esempio tratto dal libro e che costituisce la prima delle domande che hanno dato vita alla pubblicazione: l’Adige ha mai svolto un ruolo di confine? E se sì di che tipo?
«Emerge così nel preciso saggio di Elvira Migliario come per l’organizzazione del territorio l’Adige abbia svolto, soprattutto nel suo medio corso e nel suo tratto finale, un ruolo di primaria importanza favorendo la realizzazione di nuclei insediativi in età preromana e romana, ma non abbia costituito un confine politico-amministrativo o territoriale (tranne per il tratto finale dell’agro atestino).
«Fu infatti il suo importante ruolo di arteria di traffico privilegiata a sancirne il successo, ruolo che sostenne anche nella fase di penetrazione e di colonizzazione delle Alpi da parte di Augusto.
«Nonostante ciò l’Adige non si è trasformato, in terra alpina perlomeno, in un imaginary landscape, un paesaggio immaginario contenitore di memorie collettive, e ciò per alcuni motivi esplicitati splendidamente da Hans Heiss nel proprio saggio.
«Ma ecco che, a ridosso della Grande Guerra, l’Adige vede mutare il proprio ruolo: diviene il soggetto di una grande visione, un confine culturale attorno al quale vengono a contrapporsi scuole nazionali sostenitrici dell’italianità (come il collegamento naturale tra le Alpi e la pianura) o della germanicità del grande corso d’acqua (come elemento strettamente legato alle Alpi) e, di conseguenza, del territorio ad esso afferente.»
 

Gruppo di lavorieri impegnati nell’erezione di una «rosta» in legno e pietra nel letto dell’Adige a Monte di San Michele dopo l’alluvione del 1882.
 
Il fiume non costituisce unicamente un fenomeno rilevante per gli storici, esso costituisce oggetto di studio sociologico, geografico, politico, economico.
Dal punto di vista storico-sociologico, che importanza riveste il fiume come fattore di promozione sociale? E come fattore di promozione economica?
«A questa domanda abbiamo tentato di rispondere attraverso un duplice approccio: quello rivolto verso sud, verso la cultura cittadina e padana, nell’alto e pieno medioevo da parte del compianto Bruno Andreolli; quello rivolto a nord, all’inseguimento di un successo tutto commerciale della famiglia della Mole da parte mia.
«Nel suggestivo saggio di Andreolli l’Adige acquista il valore di un luogo di incontro e di ibridazione di culture giuridiche e di assetti territoriali differenti in relazione alle forme di dipendenza servile e alle comunità rurali in Vallagarina.
«Nel testo successivo, di chi ora parla, si segue le sorti della famiglia della Mole di Mori, detentori, assieme ad altri soci, di una società di trasporto fluviale riconosciuta ed autorizzata dal vescovo di Trento, allora dux, marchio et comes dell’episcopato, nel percorso da Bolzano sino alle undae di Ravazzone (Mori) nel 1188.
«L’ascesa economica procede di pari passo, in questo caso, con quella giuridica: pochi decenni dopo questa data, infatti, la famiglia riscatta gli oneri provocati dalla dipendenza giurisdizionale nei confronti dei signori di Mori e festeggia l’entrata nella schiera dei liberi et gentiles vasalli del vescovo con esenzione da una serie di contribuzioni ed esazioni.
«Da lì gli eredi collezioneranno molte conferme successive dei propri diritti fino ad ottenere dall’imperatore Federico II il titolo di fideles imperiali e si stabiliranno sulla scena commerciale bolzanina entrando anche nelle professioni più socialmente in vista dell’epoca.
«Un esempio davvero notevole e raro di memoria documentaria lunga non nobiliare che si origina nei contatti, prima ancora che nelle lucrose attività familiari svolte sul fiume, che il movimento lungo l’Adige permette a questa famiglia di intessere».
 

Traghetto a fune tra San Michele e Grumo attivo tra il 1796 e il 1883.
 
Il taglio dello studio che il libro propone è anche politico. Il fiume con il territorio che attraversa è il luogo privilegiato di incontro di interessi differenti.
Ci potrebbe anticipare qualche informazione relativa alle lotte giurisdizionali intorno agli argini del fiume Adige nella Piana Rotaliana, argomento indagato dallo storico Marcello Bonazza?
«È uno dei motivi per cui, come Accademia, abbiamo colto con grande piacere la possibilità di effettuare la prima presentazione ufficiale del volume a Mezzolombardo.
«Il testo di Marcello Bonazza è il perfetto specchio della complessità del fiume come oggetto di indagine storiografica: su pochi chilometri quadrati, all’antica confluenza del Noce con l’Adige, tra depositi alluvionali, argini, rami secchi fluviali si misurano le mire di molteplici attori tra Cinquecento e Settecento.
«Tali attori sono riconducibili alle potenti comunità rurali della piana Rotaliana, Mezzocorona e, in diverso maniera, Mezzolombardo, ad alcune, potenti famiglie nobili possidenti in zona, come i conti Spaur, i baroni Firmian e, soprattutto, i conti Thun che possedevano proprio in quest’area un’importante azienda agricola, il Maso Inon, ma anche al potente monastero di San Michele. Sullo sfondo, tutt’altro che disinteressati, stavano poi i conti tirolesi (detentori del giudizio di Monreale/Königsberg) ed il principe vescovo di Trento.
«Seguendo la documentazione dell’Archivio Thun di Castel Thun, riordinata proprio da Marcello Bonazza ed oggi conservata presso l’Archivio Provinciale di Trento, l’autore ripercorre questi complicati interessi dettati dalla modifica, secondo l’accusa mossa dai Thun e da altri attori, del corso dell’Adige a causa della costruzione di una rosta da parte del preposito agostiniano di San Michele a difesa di una sua ampia isola (iscla) tra le due sponde del fiume e prospiciente San Michele, rosta che sbilanciava l’equilibrio della portata del fiume, generando problemi sulle altre sponde, quelle occidentali, del fiume.
«Ma al di là della causa, come sentirà il gentile pubblico che sarà presente alla presentazione, sono gli aspetti di vita sul fiume che vi emergono maggiormente e che ci riportano ad un Adige che fu e che appare in una relazione ben diversa rispetto ad oggi con lo spazio e l’ambiente circostanti».
 

Ponte di legno di San Michele, forse quello del 1780 costruito dalla Comunità di Mezzolombardo e distrutto dalle truppe napoleoniche nel 1796.
 
Chi volesse acquistare il libro intitolato «Il fiume, le terre, l’immaginario – L’Adige come fenomeno storiografico complesso» pubblicato dalla Casa editrice Osiride, dove lo può trovare?
«Invito tutti coloro fossero interessati a ricevere il volume a venire alla serata di presentazione che si terrà giovedì 15 e, in caso, a contattare la Segreteria accademica tramite il sito www.agiati.it o l’indirizzo e-mail [email protected]
 
Progetti futuri?
«A livello personale sto tentando, con il fondamentale aiuto di alcuni amici di Studi Trentini, di realizzare un lavoro a più mani sulla signoria territoriale della famiglia da Telve-Castellalto nel periodo compreso tra il XIII ed il XV secolo.
«Per conto dell’Accademia Roveretana degli Agiati sto contribuendo a mettere in moto un progetto di ricerca sulla storia urbana e urbanistica della città di Rovereto e, parallelamente, ad una giornata di studi in onore di Bruno Andreolli, importante storico del Medioevo, nativo di Ala e socio dell’Accademia, prematuramente scomparso e la cui vasta produzione scientifica dovrebbe essere sistematizzata e valorizzata».
 
Daniela Larentis - [email protected]