Giorgio Ragucci Brugger, «Il VagaMondo» - Di Daniela Larentis
Il volume segna un ritorno alla poesia, è una particolare biografia che ripercorre tappe di vita e incontri significativi dell’autore – L’intervista
Giorgio Ragucci Brugger.
Alla Sala Parco di Mattarello, Trento, è da poco stato presentato l’ultimo libro di Giorgio Ragucci Brugger, intitolato «Il VagaMondo», una particolare biografia che ripercorre tappe di vita e incontri significativi, segnando un ritorno alla poesia (presentazione venerdì 15 febbraio alle ore 20.40).
L’autore del volume ha pubblicato le sue prime opere verso la fine degli anni Ottanta, esordendo proprio con la poesia. Successivamente si è dedicato alla stesura di romanzi, racconti e un saggio su Beethoven intitolato «Il mio regno è nell’aria», pubblicato nel 2017.
Lucia Ferrai, laureata in filosofia all’Università di Trento, assieme alla quale in più occasioni Giorgio Ragucci Brugger ha partecipato a conferenze su temi filosofici, sottolinea nella prefazione alcuni aspetti del suo carattere, come l’essere sempre diretto, senza maschere.
A lei è dedicato il libro ed è lei l’amica alla quale idealmente si rivolge il poeta.
Scrive la Ferrai: «Il coraggio della trasparenza, certo, a Giorgio Ragucci non manca. La sua poesia è tutta un lasciar trasparire l’anima, come un cristallo, senza filtri, senza maschere, senza paure. Forse ciò accade perché l’autore vuole semplicemente parlare della vita, così com’è, dolce amara, a volte strampalata come un quadro storto.
«Lo stile di Giorgio Ragucci, infatti, è nudo e crudo come la realtà, non mente mai, non abbellisce inutilmente, ma si stupisce dei piccoli amabili dettagli che ogni giorno porta con sé».
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Giorgio Ragucci Brugger, il quale ci ha anticipato che in primavera ci sarà un’altra presentazione del volume presso la libreria Mondadori di Trento.
Prima di iniziare le vorrei chiedere il significato del titolo…
«Il VagaMondo è colui che viaggia nel mondo e si riferisce a una mia esperienza, precisamente a quando, finito il liceo classico, ho intrapreso un viaggio attraverso l’Europa. Un viaggio che è durato un’intera estate: sono partito da Trento portando con me solo il mio zainetto e spostandomi prevalentemente in autostop, fino a raggiungere la Svezia e la Finlandia.
«Ho attraversato molti Paesi europei, trovando qua e là dei lavoretti per mantenermi (sono partito con 10.000 lire), e ho vissuto un’esperienza umana indimenticabile.
«Alloggiavo il più delle volte negli ostelli, mi succedeva di tanto in tanto, però, quando arrivavo troppo tardi in un luogo, di trascorrere la notte all’aperto, dentro la mia tendina che portavo sempre con me oppure dentro al sacco a pelo sopra una panchina.
«Non ho mai avvertito una sensazione di pericolo, quel modo di viaggiare era condiviso da molti giovani della mia generazione; ricordo di essermi sempre sentito al sicuro, anche in città grandi come Amburgo, dove alcune zone, come per esempio il porto, erano frequentate anche da persone potenzialmente pericolose.»
Lei conta al suo attivo diversi romanzi, racconti e un recente saggio su Beethoven. Il VagaMondo segna un ritorno alla poesia. Come e quando nasce l’idea di questa raccolta?
«L’ho scritta l’anno scorso. Nel farlo, mi sono ispirato al viaggio compiuto molti anni fa, negli anni ’60, è dal ricordo di questa avventura che nasce la raccolta.»
Si potrebbe definire una raccolta biografica?
«Certamente. È una silloge che potremmo definire una sorta di poesia narrativa, riconducibile alla scuola anglosassone che fa poesia narrando. A me non interessa stabilire particolari stati d’animo, quanto narrare per immagini, facendo delle considerazioni filosofiche. La prima poesia non è riferita agli anni ’60, richiama la mia infanzia.
Abitavo nel rione di Cristo Re, allora si viveva in una comunità dove ci si conosceva tutti. La gente che abitava là faceva parte di una famiglia allargata, le persone si incontravano in strada, chiacchieravano, si relazionavano quotidianamente.»
Ne parla quasi con rammarico… Che tipo di relazioni si instauravano fra le persone che vivevano in quel rione?
«Era un tipo di comunità ormai scomparsa, estinta totalmente. Ne parlo con nostalgia, è vero. Quello che succedeva nel rione, qualsiasi cosa, sia in negativo che in positivo, veniva condiviso da tutti, tutta la popolazione ne era partecipe.
«Racconto un episodio fra i molti che potrei riferire: mia nonna un giorno si sentì male mentre stava facendo la spesa allo spaccio alimentare del paese; il signor Mario, proprietario del negozio, si offrì di riaccompagnarla a casa, lei rifiutò, ringraziando, e fui io ad accompagnarla dentro l’abitazione. Dopo una ventina di minuti qualcuno suonò il campanello: erano tre amiche che, avvisate dell’accaduto proprio dal proprietario del negozio, avevano pensato di passare ed offrire il loro aiuto.
«L’aspetto negativo di questo tipo di società, che obbediva a regole molto rigide, era il fatto che le persone criticavano chi non rispettava dette regole, tutti sapevano tutto di tutti, il concetto di privacy non esisteva all’epoca…»
Lucia Ferrai nella prefazione del libro definisce la raccolta «prima di tutto un invito alle profondità: un invito urgente, in un tempo che, purtroppo, sembra amare soprattutto le superfici e le piattezze».
«Non a caso ho dedicato a lei questo libro, con quel cara amica intrattengo con lei un immaginario dialogo, insieme abbiamo partecipato a diverse conferenze di filosofia politica.
«Condividiamo la stessa sensibilità nei confronti della vita, quello che pensa lei in termini filosofici rispecchia il mio sentire, è in sintonia con quello che vorrei trasmettere attraverso questa raccolta.
«Mi consola pensare che, nonostante la differenza di età, certi valori non siano morti. Entrambi non badiamo molto alle apparenze ma alla sostanza delle cose.»
Quali sono i temi da lei affrontati?
«A parte la prima poesia, sono temi che riguardano il periodo trascorso a scuola, io ho frequentato il liceo classico Prati di Trento, e la città. I professori erano molto severi, ben preparati, era una scuola molto selettiva. Ero particolarmente legato al professor Renato Monteleone, insegnante di storia e filosofia, il quale mi ha trasmesso l’amore per le sue materie.
«Per quanto riguarda la città mi sentivo quasi un ospite a Trento. Mio nonno era di origine tedesca, mio padre era napoletano e quindi non mi sentivo trentino come tutti gli altri, mi percepivo in un certo senso straniero.»
Che cosa rappresenta la poesia intitolata «La città»?
«La città all’epoca era politicamente e socialmente divisa, vi era da un lato una classe che potremmo definire la media borghesia e dall’altro tutto il resto, gli operai, le persone che lavoravano nelle fabbriche, pensiamo alla vecchia Sloi.
«La mia mamma era proprietaria di un’oreficeria, io conoscevo bene quell’ambiente, il loro modo di pensare. Sintetizzando mi sentivo straniero nella mia città, in quanto sostanzialmente non mi riconoscevo nei valori dominanti, vivevo quotidianamente questo conflitto interiore.»
E quella intitolata «Il labirinto»?
«Questa poesia è riconducibile al mondo del lavoro, rimanda alla Cassa malati di stampo austriaco, alla sua abolizione e al processo che ha portato alla nascita dell’USL con tutte le problematiche in termini di gestione. La poesia sviluppa alcune riflessioni attorno a questo spinoso tema.»
Lei parla delle relazioni umane sottolineandone la complessità, affronta anche il tema dell’amicizia. Zygmunt Bauman affermava che viviamo tutti in una condizione di paura, in una «società liquida» in cui diveniamo incapaci di sostare nell’incontro. Qual è il suo pensiero a riguardo?
«È una società globale, quella in cui viviamo, in cui gli individui vivono consumando, spostandosi da un centro commerciale all’altro, soddisfacendo bisogni non sempre essenziali.
«Una società in cui è difficile relazionarsi davvero, dove le relazioni spesso sono superficiali, dove c’è una non valutazione della persona, delle amicizie.
«Il termine liquido in questo senso significa che non si può più contare sulla solidità delle relazioni con le persone.»
Progetti futuri?
«Sto lavorando a due libri di narrativa: uno è un thriller ambientato in due città molto differenti fra loro, in cui descrivo una visione attuale di una città metropolitana contrapposta a una città con un’organizzazione antica, di metà Ottocento.
«L’altro è un libro che affronta il tema della dittatura tecnologica da parte di un personaggio che controlla i computer di tutto il mondo.»
Daniela Larentis – [email protected]