Storie di donne, letteratura di genere/ 27 – Di Luciana Grillo

«Una famiglia perfetta» di Silvia Ricci Lempen – Esisterà davvero una famiglia perfetta? E se esiste, com’è?

Titolo: Una famiglia perfetta
Autrice: Ricci Lempen Silvia 
 
Editore: Iacobelli 2010 (collana Graffiti)
Pagine: 256, illustrate. Rilegato.
 
Prezzo di copertina: € 14
Note: Disponibile anche usato su Libraccio.it
 
Una famiglia perfetta esiste davvero?
E se esiste, com’è?
Ecco le prime domande che si pone chi vede questo libro in vetrina: è forse un manuale? Esistono regole per creare una famiglia perfetta?
Ma non si tratta di un manuale, basta leggere la bella prefazione di Laura Rorato per capire che si tratta di una storia vera, autobiografica, tanto vera quanto difficile da raccontare.
Si può pensare che la stesura di questa storia abbia avuto sull’autrice un effetto terapeutico, come se scrivere fosse un modo per rielaborare un lungo dolore.
Credo che sia utile sapere che questo libro, nonostante l’autrice sia italiana, è stato tradotto dal francese (da Alessandra Quattrocchi) e che l’edizione francese aveva un altro titolo: Un homme tragique.
 
In realtà questa è la vicenda di un uomo che ha attraversato il ’900, che quando scava nella memoria vede i feriti tornare a casa dai fronti della Prima guerra mondiale, che ha tentato di «sottrarsi ai peggiori compromessi col regime», che, per uno spiccato senso del dovere, pur potendo ottenere l’esenzione dalla leva, si arruola nell’esercito italiano, partecipa alla campagna di Albania e si impegna nella lotta partigiana.
L’uccisione del suo amico Pilo Albertelli alle Fosse Ardeatine provoca in lui una insanabile ferita.
Quest’uomo è il padre della protagonista, il centro intorno al quale si sviluppano la storia narrata e la storia dell’autrice, il capofamiglia per il quale casa e famiglia diventano un’ossessione, il padre che vuole una figlia «perfetta» e ne fa un’infelice, sempre – a suo insindacabile giudizio – inadeguata, goffa…
«…mi ero sgradita io tutta intera, di una sgradevolezza originaria, lo sguardo su me stessa distorto e filtrato fin dal primo incontro con uno specchio, dallo sguardo di colui che conosceva tutte le regole del bello e del brutto e aveva il potere di farle rispettare
È anche un uomo-padre-vittima di se stesso, del suo rigore, del suo proibirsi tutto ciò che fosse fonte di piacere, come a voler autopunirsi imponendosi e imponendo soltanto concetti di «dovere» e «sacrificio».
 
La figlia-autrice, forte di studi filosofici, scrive con lucidità, racconta il dramma che ha coinvolto anche sua madre e suo fratello, lotta per rivelarsi a se stessa nella sua vera identità, diversa e lontana da quella che il padre aveva deciso per lei.
Ma anche quando, ormai adulta, si innamora, pure aspettando «l’arrivo del mio amore…mai con il cuore intero, capisci, mai con il cuore intero».
Nel contempo, la Ricci Lempen sa allontanarsi dal particolare per usare la sua esperienza come paradigma di un modello patriarcale che considera «amore» quell’amore malato e totalizzante che spinge talvolta anche alla violenza.
 
Papà posò il braccio attorno alle mie spalle.
Voleva mostrarmi la sua infinita tenerezza e allo stesso tempo chiedeva aiuto per la propria fragilità.
Sentivo tutte e due le cose, e la loro profonda inutilità, perché quel che era perduto era perduto, e quel che non era esistito non sarebbe esistito mai…
…io avevo paura che mi facesse male, non che mi graffiasse la pelle ma che mi graffiasse il cuore, non poteva stringermi fra le braccia come una conchiglia amorosa, le sue braccia erano la morsa che spezza e il suo petto uno scudo di ossidiana, e se mi avvicinavo come chiedeva, rischiavo di trovarmi a terra, ferita, rifiutata, smembrata, a pezzi.
 
Il romanzo è nettamente diviso in due parti: la prima racconta in modo non cronologico alcuni episodi della vita della famiglia perfetta, passando agilmente dal marzo 1982 al febbraio 1963, e così via, intrecciando ai fatti privati anche gli eventi che in quei mesi e in quegli anni si sono verificati in Italia e, soprattutto, a Roma; la seconda, dopo un breve e significativo Intermezzo Luglio 1988, procede in modo lineare, a partire dal 1967.
Le date, però, non si trovano più nei titoli di ciascun capitolo, perché l’autrice sembra aver raggiunto un saggio equilibrio tra ciò che ricorda, descrive e rivive.
La seconda parte, insomma, discorsiva e riflessiva, segna il passaggio dall’autobiografia al discorso letterario.
Ma, inevitabilmente, la figlia-autrice ritorna su se stessa …mi facevo avanti smorta e rassegnata, il collo rientrato nelle spalle, irrevocabilmente colpevole: quel vestito che mi aveva regalato, costato caro, tanto caro che la cifra si gonfiava come una mongolfiera a vederla a metà della colonna, che spreco per vestire questa ragazzina sgraziata…
e sul comportamento di sua madre che, quando lui si è ammalato, passava lunghe ore accanto al suo letto a sferruzzare…lo faceva con furia
E fino alla morte di suo padre, la Ricci Lempen si sente sempre e comunque in colpa, per non capirlo, per non amarlo.
 
Dunque, lo ammette senza tentennamenti, scrive scrive scrive: «Cinque anni di scrittura lacerante, sanguinosa, dove ho cercato di mettere a nudo quel che mi ha resa così a lungo estranea al mondo dei sentimenti normali, condivisibili e comunicabili.
Ma della morte di mio padre qui preme raccontare solo quel che somiglia alla sua vita: la sua vita urlo lungo, fiume di sofferenza inestinguibile, veleno potente iniettato goccia a goccia nelle vene della mia, di vita».
 
Cos’altro aggiungere? Che questa storia di un amore malato, scritta con tanta sofferenza ed infinito coraggio, può aiutare i lettori a diventare migliori, nel rispetto di sé e degli altri.
Di pagina in pagina, si intuisce che l’autrice è una donna impegnata, che ha una famiglia serena, che sa essere – oltre che un’intellettuale e una femminista – moglie e madre consapevole e generosa.
 
Luciana Grillo
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