Legge provinciale sulle Pari Opportunità/ 6 – Di Minella Chilà
Il Progetto «Genere e Salute» promosso dalla Provincia Autonoma di Trento Garantire a tutti, uomini e donne, il miglior trattamento sanitario possibile

Uomini e donne si ammalano in maniera differente.
E questo si sa, ma non crediate che sia poi così scontato se pensiamo che per anni il mondo della ricerca sanitaria non ha considerato che esistono differenze tra uomini e donne da un punto di vista biologico, anatomico, psicologico.
Ed anche, a voler essere precisi, le diverse condizioni di vita possono influire in modo profondo sul modo in cui una patologia di sviluppa, viene diagnosticata, curata e affrontata da pazienti maschi o femmine.
E' vero, le donne vivono più a lungo degli uomini (in Italia 84,5 anni per le donne contro i 79,4 degli uomini), ma si ammalano di più, ricorrono maggiormente ai servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute.
Secondo l’Indagine Multiscopo condotta dall’Istat nell’anno 2011, già a partire dai 35 anni emergono nette le differenze di genere a svantaggio delle donne:
• nella fascia di età 35-44 anni, l’83,5 % degli uomini si considera in buona salute contro l’80,6 % per cento delle coetanee;
• le differenze maggiori si hanno tra i 65-74 anni (44,8 % contro il 34,7 %) e i 75 anni e oltre (28,2 % contro il 19,2 %).
E non va meglio quando si parla di malattie croniche, lo svantaggio del sesso femminile emerge anche dall’analisi dei dati relativi alla quota di popolazione che soffre di almeno una malattia cronica.
Sono infatti le donne ad esserne più frequentemente colpite, in particolare dopo i 44 anni.
Ecco spiegata l'importanza di adottare un approccio di genere nella medicina che, tradizionalmente, ha avuto come modello di riferimento l’organismo dell’uomo (maschio-adulto-bianco) negando di fatto le differenze biologiche, fisiologiche, culturali e sociali che caratterizzano l’esistenza di uomini e donne.
La medicina di genere vuole invece introdurre all’interno della medicina tradizionale un’ottica di genere, in altre parole vuole tener conto delle differenze esistenti con l’obiettivo di offrire ad ogni persona, uomo o donna, la terapia più efficace ed appropriata.
Questo è lo scopo della medicina di genere, che studia le differenze sessuali, socio-culturali e comportamentali che influiscono sullo sviluppo, diagnosi e cura della malattia.
Per capire meglio il concetto, siamo andati a documentarci sulla sindrome di Yentl, che parte da un presupposto: la ricerca scientifica viene effettuata – come si accennava - sul modello «giovane adulto, maschio bianco», ma le relative informazioni cliniche vengono applicate anche alle donne che mostrano però sintomi «atipici», sottovalutati dai medici.
Bernardine Healy (nella foto sotto il titolo insieme all’Assessore Lia Beltrami), cardiologa, direttrice dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica statunitense, ha pubblicato nel 1991 un articolo divenuto pietra miliare della medicina di genere, dove ha riportato i dati di una ricerca di due studi effettuati nel Massachusset e nel Maryland su un gruppo di donne affette da coronaropatia.
Prendendo a prestito l'eroina del racconto Yentl The Yeshiva Boy (scritto da Isaac B. Singer) che era costretta a travestirsi da uomo per accedere allo studio del Talmud, testo sacro dell’ebraismo, è stato coniato il nome della sindrome che pone la questione femminile in medicina.
A differenza dei pazienti maschi infatti, grazie agli studi condotti dalla dottoressa Bernardine Healy, era stato scoperto che le donne subivano più errori diagnostici, ricevevano meno cure e venivano sottoposte ad interventi chirurgici non risolutivi.
Infatti, uno dei retaggi culturali da sovvertire, anche tra gli stessi medici, è che le donne vengono ritenute protette dalle malattie cardiovascolari. Invece non è così, anzi...
Inoltre, il cuore femminile risponde in maniera diversa allo svilupparsi della malattia coronarica: nausea, vomito, senso di peso retrosternale, dolore che irradia al collo con nevralgia mascellare, astenia, sudorazione, ansia. Infine, le cure che funzionano con gli uomini a volte per le donne sono sbagliate e quindi dannose.
Queste evidenze cliniche si sono fatte strada negli ultimi vent'anni.
Nel 1992, la cardiologa Marianne J. Legato fonda la Partnership for Women's Health alla Columbia University di New York iniziando i primi studi su gruppi di donne.
Nel 2000 l'Organizzazione mondiale della sanità inserisce la medicina di genere nell'Equity Act, due anni dopo costituisce il Dipartimento per il genere e la salute della donna.
Nel maggio 2010 le istituzioni europee propongono una legge, analoga a quella americana, che renda obbligatoria in Europa una rappresentanza femminile equa negli studi clinici e di ricerca.
Medicina di genere, dunque, significa una medicina personalizzata che consideri il genere, l’età e l'etnia, per ottenere equità nella prevenzione e nella cura.
La Provincia Autonoma si è fatta carica di approfondire questo tema ed ha avviato un progetto «Genere e Salute» con lo scopo di favorire un approccio di genere alla malattia, ce lo racconta l'Assessore provinciale alla Solidarietà Internazionale ed alla Convivenza.
Dott.ssa Beltrami, può raccontarci qual è l'obiettivo del progetto «Genere e Salute» promosso dal suo Assessorato?
«Abbiamo voluto sostenere l’incontro tra Genere e Medicina in quanto rientra nel più ampio concetto di pari opportunità il fatto che donne e uomini debbano essere uguali anche nel diritto alla salute e di fronte ai servizi socio-sanitari.
«L’obiettivo primario è fare si che il genere diventi un attitudine propria di tutte le componenti organizzative e sanitarie del sistema sanitario nazionale e provinciale ed iniziative come queste sono volte proprio a far crescere nelle persone la consapevolezza sull’importanza del fattore determinante “genere” che favorisca l’avvio di una medicina personalizzata come richiesto nelle sviluppo dei concetti sanitari attuali.
Quali azioni sono state e saranno messe in campo, per sostenere un approccio alla «medicina di genere»?
«A partire dal 2011 abbiamo cominciato a promuovere iniziative nell’ambito della medicina di genere sia partecipando sia organizzando una serie di eventi di approfondimento sia istituendo un gruppo di lavoro con cui condividere tutto il percorso.
«Nel dettaglio abbiamo partecipato al convegno «Genere (uomo e donna) e medicina» a Trento nel dicembre 2011 promosso ed organizzato dall’Associazione di Ricerca Medica Trentina in collaborazione con la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori di Trento.
«Abbiamo in seguito costituito un gruppo di lavoro formato dall’Ufficio per le politiche di pari opportunità, dall’Ufficio per l’integrazione socio-sanitaria, dal Servizio organizzazione e qualità delle attività sanitarie e dall’Azienda Provinciale per i Servizi sanitari.
«Nel giugno del 2012 abbiamo organizzato il seminario «Genere e salute» rivolto agli operatori sanitari e del terzo settore per introdurli al tema della medicina di genere.»
«Infine, abbiamo promosso il seminario «La tossicodipendenza secondo un approccio di genere» con la sociologa Lorella Molteni, autrice del libro «L’eroina al femminile» e Maurizio Del Greco, dirigente medico all’ospedale Santa Chiara di Trento.
«Sono iniziative che comprendono vari filoni di approfondimento in cui trovano spazio la ricerca, gli appuntamenti pensati per i formatori e quelli di natura più divulgativa. Vogliamo sensibilizzare gli amministratori, i dirigenti pubblici, i decisori e i gestori presenti nelle istituzioni coinvolte in materia di salute e di benessere delle persone, vogliamo fare assieme un cammino che ci auguriamo possa portare ad un cambiamento culturale in materia di pari opportunità.
«I primi appuntamenti previsti per i primi mesi del 2013 prevedono il coinvolgimento delle Donne Rurali nell’organizzazione di seminari tematici in tutto il territorio provinciale.
Secondo l'esperienza maturata all'interno del progetto, quali sono le malattie che vengono sottovalutate dalla medicina e che invece colpiscono maggiormente le donne?
«Sicuramente le malattie più sottovalutate sono quelle legate al cuore e all’apparato circolatorio. La Cardiopatia Ischemica rappresenta la maggiore tra le cause di morte in tutti i paesi occidentali e ha percentuale maggiore tra le donne.
«L’aspetto preoccupante è che c’è una generale sottostima per quel che riguarda la diagnosi di cardiopatia nella donna, infatti viene diagnosticata in stadio troppo avanzato di malattia o ancora il trattamento è meno aggressivo rispetto a quello riservato al paziente maschio.
«Preoccupante appare anche un’apparente prognosi più severa nelle pazienti di sesso femminile rispetto ai maschi pari età, ciò indica chiaramente come differenze sesso-specifiche inciderebbero sostanzialmente sia sulla diagnosi che sul trattamento della cardiopatia ischemica influenzando, in ultima analisi, la prognosi.»
«Questa sostanziale sottostima del problema ha suggerito l’osservazione. E' paradossale che in molti casi il più importante fattore di rischio di cardiopatia ischemica nelle donne è proprio la percezione sbagliata che tale malattia non venga considerata una malattia delle donne.
«Invece, grazie a questi seminari, in particolare quello «Cuore di donna» organizzato ad Arco in occasione della festa delle donna nel marzo scorso, le donne possono conoscere quali sono i rischi legati a questa patologia, individuarla per tempo ed avere allo stesso modo delle cure adeguate sulla base del loro genere.
In Italia l'età media di vita di una donna è maggiore di quella dell'uomo. Alla luce di questo dato, perché la Provincia ha deciso di impegnare risorse in questo progetto?
«Le donne vivendo più a lungo (in Italia 84,5 anni contro i 79,4 degli uomini) si ammalano di più, ricorrono maggiormente ai servizi sanitari ed hanno un numero maggiore di anni di vita in cattiva salute.
«Secondo l’indagine Multi scopo dell’Istat del 2011 già a partire dai 35 anni emergono nette le differenze di genere a svantaggio delle donne: quelle che si considerano in buona salute sono sempre in percentuale inferiore dei propri coetanei maschi.
«Inoltre le donne risultano più frequentemente colpite dalle malattie croniche rispetto agli uomini. Con queste premesse è chiara l’importanza di adottare un approccio di genere con l’obiettivo di garantire a tutti, uomini e donne, il miglior trattamento possibile.»
Minella Chilà
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